Guerra 2.0 #rifugiati al posto dei proiettili

Per spiegare il perché della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui 360 eritrei morirono nel Mar Mediterraneo, bisogna risalire agli avvenimenti politici del Corno d’Africa nel decennio precedente.

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Guerra 2.0 #rifugiati al posto dei proiettili

Se il governo etiopico dicesse andate perché non mi piace il colore dei vostri occhi, (gli eritrei) devono solo andarsene!

Meles Zenawi, 1998

President Obama, Clinton Global Initiative
President Obama, Clinton Global Initiative

Premessa: #Rifugiati eritrei

Recentemente ho rinnovato le sanzioni su alcuni dei paesi più tirannici tra cui (…) l’Eritrea. Stiamo collaborando con i gruppi che aiutano le donne e i bambini a scappare dalle mani dei loro aguzzini, stiamo aiutando altri paesi ad intensificare i loro sforzi e vediamo già dei risultati” disse il Presidente Obama al Clinton Global Initiative nel settembre del 2012, un anno prima della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013.

Ma cosa voleva dire il presidente americano con questa dichiarazione? Chi erano quei “gruppi che aiutano le donne e i bambini (eritrei) a scappare”? E chi erano gli “altri paesi che stanno intensificando i loro sforzi”? Quest’ultima domanda non è mai stata un rebus per me ed è proprio lì che intendo portarvi con questa mia inchiesta. In Etiopia e in Italia.

Cronologia della situazione di “né guerra né pace”

Per spiegare il perché della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui 360 eritrei morirono nel Mar Mediterraneo, bisogna risalire agli avvenimenti politici del Corno d’Africa nel decennio precedente.

Isaias Afewerki e Meles Zenawi
Isaias Afewerki e Meles Zenawi

Risale esattamente all’aprile 2002 l’annuncio della decisione definitiva e vincolante dell’EEBC[1], la Commissione delle Nazioni Unite, sull’appartenenza dei territori contesi dall’Etiopia e dall’Eritrea compresa la città di Badme. In quell’assurda guerra di confine tra il 1998 e il 2000 erano morte da entrambe le parti circa 100.000 persone e la Commissione confini era stata decisa a seguito degli accordi di pace di Algeri.

Fu l’Etiopia a festeggiare per prima accettando il verdetto della Commissione poiché non si era resa conto che Badme, non menzionata nel rapporto, era stata assegnata all’Eritrea. Quando gli esperti etiopici tracciarono una linea tra “il punto 9 e il punto 6” della mappa per determinare la sua posizione scoprirono che essa si trovava sul lato eritreo a circa 1.7 km dal confine etiopico.

Subito dopo l’Etiopia rifiutò di accettare quel verdetto inappellabile.

Come dimostrano alcuni documenti su Wikileaks[2] il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’UNMEE[3] dichiara che “L’Etiopia non può accettare Badme come territorio eritreo perché così facendo la si riconoscerebbe come aggressore quando entrò a Badme durante il conflitto del 1998“.

Sempre da Wikileaks[4] veniamo a sapere che l’Ambasciatore USA in Addis Abeba Donald Y. Yamamoto (2006–2009) riferisce al premier etiopico Meles Zenawi: “nulla sarà deciso fino a quando tutto non sarà deciso”.

Difatti a luglio del 2008 finisce la Missione UNMEE senza che sia riuscita a portare avanti la demarcazione del confine Etio-eritreo e si teme l’inizio di un nuovo conflitto.

Ma in quegli accordi firmati da entrambi i paesi è scritto chiaramente che “qualsiasi parte che non si conforma a uno o a tutti i termini degli accordi sarà sottoposta a misure politiche, diplomatiche, economiche e militari da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC)”. Perciò l’Etiopia, per il suo rifiuto, dovrebbe essere sanzionata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e costretta ad evacuare il suo esercito da Badme e dai territori assegnati all’Eritrea.

Invece ciò non è mai accaduto e i giovani eritrei, stufi di questa situazione di né guerra né pace che li costringeva ad un servizio nazionale prolungato, hanno deciso di sconfinare per tentare di raggiungere l’Europa e migliorare la propria condizione.

A dieci mesi dalla tragedia di Lampedusa il Presidente Isaias Afewerki scriveva al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon per denunciare il traffico di esseri umani dall’Eritrea: “Gli architetti di questo flagello hanno ricorso a ulteriori schemi creando apposite etichette per mascherare il reato e nascondere la loro vera identità. Il governo dell’Eritrea chiede con fermezza alle Nazioni Unite di avviare un’indagine indipendente e trasparente di questa situazione abominevole in modo da portare alla giustizia i colpevoli.”

Di nuovo, nel giugno 2017, il Presidente scrive una lettera[5] stavolta indirizzata a numerosi Capi di Stato e di Governo ribadendo: “Campagne di demonizzazione che sono state avviate sotto il falso pretesto di “violazioni dei diritti umani”, periodici attacchi militari lanciati contro il paese; e organizzate reti criminali di traffico di esseri umani create per far precipitare ed incitare migrazione illegale di giovani eritrei sono parte integrante di questi modelli di molestie.”

E quando parla di attacchi militari[6] c’è da ricordare l’ultimo in ordine di tempo successo il 12 giugno 2016 sul fronte di Tsorona dove in un raid dei militari etiopici sono morti centinaia di etiopici e 18 eritrei.

Così come gli attacchi militari anche le minacce da parte dell’Etiopia sono puntuali quanto le piogge stagionali. Cito come fonte il Senatore PD Gianni Pittella che nel 2016 dice: “Nella nostra visita della settimana scorsa il Presidente dell’Etiopia (Hailemariam Desalegn) ci ha detto che se l’UE continuerà a dare soldi all’Eritrea, considerata dall’Etiopia un regime dittatoriale, Addis Abeba la invaderà e ci sarà un altro milione di profughi in cammino verso l’Italia”.

Giochi sporchi nel Corno d’Africa

Si dice che l’Imperatore Haile Sellassie avesse legami di amicizia con parecchi presidenti americani (Roosevelt, Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon), amicizia che gli fruttò l’allargamento del suo impero quando nel 1952 gli fu regalata l’ex colonia italiana Eritrea, un regalo che causò agli eritrei trent’anni di guerra di liberazione e 100.000 morti.

Fu in quel dibattito nel Palazzo di vetro che il Segretario di Stato USA John Foster Dulles ebbe a dire: “Gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e la pace nel mondo rendono necessario che l’Eritrea debba essere unita con il nostro alleato Etiopia.

Da allora il rapporto privilegiato dell’Etiopia con gli USA fu interrotto soltanto nei 17 anni di governo del Colonnello Menghistu Hailemariam che aveva preferito allearsi con l’Unione Sovietica di Breznev. Amicizia poi rinsaldata con Washington nel 1991 con l’ascesa al potere dei TPLF e rinvigorita con George Bush quando l’Etiopia aderì alla War on Terror e mandò il suo esercito a combattere gli Al Shabaab in Somalia. In cambio divenne il maggior contenitore di aiuti umanitari di USAID in Africa, si pensi ai 494.789.000 di dollari stanziati nel solo 2017.

Frazer Badme In quegli anni di tira e molla sulla demarcazione dei territori contesi ci sono diversi emissari degli Stati Uniti che, in stretta cooperazione con il premier etiopico Meles Zenawi, pianificarono una strategia anti eritrea, quella cioè di isolare internazionalmente l’Eritrea. Lo conferma un dispaccio[7] proveniente dall’ambasciata USA ad Addis Abeba firmato dal Chargé d’Affaires Vicki Huddleston, in cui viene attribuita a Meles Zenawi la frase: “Isolare l’Eritrea e aspettare che imploda economicamente”.

Una fervida sostenitrice di questa strategia è sicuramente Jandayi Frazer, Assistente Segretario di Stato per gli Affari Africani durante l’amministrazione Bush, (2005-2009).

Il suo gioco verrà smascherato dall’allora Rappresentante permanente per gli Stati Uniti d’America alle Nazioni Unite John Bolton che alla pagina 347 del suo libro Surrender is Not an Option l’accusa: “Per ragioni che non ho mai capito, Frazer ha invertito la rotta, e ai primi di febbraio (2006) mi ha chiesto di riaprire la decisione del 2002, che lei aveva concluso fosse sbagliata, e assegnare un importante pezzo di territorio conteso all’Etiopia. Io ero in difficoltà su come spiegarlo al Consiglio di Sicurezza, quindi non l’ho fatto.

Ad aprile 2007, secondo un articolo pubblicato dal The Guardian intitolato: US blames Eritrea over Somalian insurgency[8], Jandayi Frazer mentre si trovava in visita in Kenya accusa l’Eritrea di fornire armi ai terroristi somali di Al Shabaab. L’Eritrea non è nemmeno un paese confinante con la Somalia, a dividere i due paesi c’è Gibuti con la più grande base americana del mondo di Camp Lemonnier.

Nessun gruppo di insurrezione può sopravvivere senza il sostegno dei paesi vicini”, ha affermato la Frazer e questa sua accusa porterà l’Eritrea alla sanzione comminatale nel 2009.

Queste accuse erano del tutto infondate e nessuno ha mai portato nemmeno uno straccio di prova per verificarne la veridicità.

A settembre del 2007 la BBC pubblica un articolo in cui la Frazer continua a minacciare l’Eritrea[9] affermando che: “la raccolta di ulteriori informazioni potrebbe portare l’Eritrea ad essere nominata ‘Stato sponsor del terrorismo’ seguita da dure sanzioni finanziarie.”

Con la presidenza di Obama peggiora la situazione nel Corno d’Africa, specialmente l’isolamento dell’Eritrea. Ad ereditare l’accanimento della Frazer è Susan E. Rice, rappresentante permanente per gli Stati Uniti d’America alle Nazioni Unite dal 2009 al 2013, che più volte si è incontrata con Meles Zenawi facendo di continuo la spola tra Addis Abeba e Washington.

meles obama

Un altro documento[10] Wikileaks del 28 settembre 2009 rivela di un incontro tra Susan E. Rice e Meles Zenawi a New York: “Meles dice di dubitare che la disputa di confine si possa risolvere fintanto che il presidente eritreo Isaias Afewerki rimarrà al potere e ha appoggiato l’idea di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che sanziona l’Eritrea per le sue attività illegali in Somalia e Gibuti.”

Infatti, proprio alla vigilia di Natale del 2009, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 1907 che impone un regime di sanzioni contro l’Eritrea, economiche e militari, che verrà rinnovato due anni dopo (5 dicembre 2011) tramite la risoluzione 2023.

Negli anni successivi, nonostante una lunga serie di relazioni negative del Gruppo di Monitoraggio incaricato dall’ONU che dichiarava di NON aver trovato “alcuna prova del sostegno dell’Eritrea ad Al Shabaab” gli USA seguitarono a dire: “Continuate a cercare!”. E nel 2014 mentre 14 membri del Consiglio di Sicurezza votavano per revocare quelle sanzioni all’Eritrea gli Stati Uniti posero il veto. Un’azione che l’Ambasciatore Herman J. Cohen, ex sottosegretario di Stato americano per gli Affari Africani, definì in suo twitt[11] del 26 ottobre 2015 come: “un grave errore giudiziario”.

cohenNel suo blog[12] l’Ambasciatore Cohen scrive: “Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di continuare le sanzioni contro l’Eritrea per un altro anno. Questa decisione non ha basi di fatto. È stata presa perché alcune persone nei più alti livelli del governo degli Stati Uniti hanno un forte risentimento nei confronti del presidente eritreo Isaias Afwerki… Questo è puro bullismo.

E quando l’Ambasciatore scrive di alcune persone del governo degli Stati Uniti intende proprio Susan E. Rice, intima amica di Meles Zenawi, la quale, nel suo commosso discorso al funerale del premier etiopico deceduto nel 2012, dice: “Meles era un amico sia del mio Paese che mio personale, ogni volta ci incontravamo, non importa quanto fosse determinato, iniziava sempre chiedendomi dei miei figli…

La carta dei diritti umani

I “rifugiati eritrei” hanno conquistato l’attenzione mediatica occidentale grazie anche alle ONG internazionali dell’umanitario finanziate da State Department, NED, Freedom House ed Open Society Foundations. Una fra tutte è la sorosiana Human Rights Watch che nella sua relazione intitolata Ten Long Years[13] del settembre 2011 fa una raccomandazione a tutti i paesi occidentali perché “Facilitino il pieno accesso all’UNHCR dei richiedenti asilo eritrei.” In parole povere: fateli passare!

Nello stesso anno, la stessa Ong fu coinvolta a promuovere la primavera araba in Eritrea: “Noi di Amnesty International e Human Rights Watch, come forza congiunta di difensori dei diritti umani, abbiamo ricevuto un sostanzioso finanziamento da parte del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per provare a lavorare con il popolo eritreo oppresso, aiutare ed operare per conto di coloro che non possono far sentire la propria voce.”[14]

George Soros
George Soros

La loro idea era quella di infiltrare ad Asmara due agenti travestite da suore ed equipaggiate di materiali elettronici per filmare di nascosto. Lo scopo della missione era: “Sensibilizzare la popolazione eritrea a riconoscere i suoi diritti basilari, come l’utilizzo di Internet, chattare liberamente, scambiare foto e attivarsi nei social networking.”

Volevano dunque mettere in contatto i giovani eritrei con un team di esperti stile OTPOR, gli inventori della Color revolution e della primavera araba per intenderci, e organizzare una “disobbedienza non violenta” contro il proprio governo così come le abbiamo viste in Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Yemen e Bahrein.

L’obiettivo che ci prefiggiamo è che entro dicembre di quest’anno, il regime di Isaias Afewerki deve essere scosso e pronto a cadere” scriveva Amnesty International in questa missiva indirizzata ai suoi agenti. Ma la loro missione fallì miseramente perché le due suore furono fermate all’aeroporto di Asmara e rimandate al mittente.

Amnesty & HRW    Arbi harinet

Ben presto i rifugiati eritrei offrono il pretesto alle Nazioni Unite che nel 2012 nominano uno Special Rapporteur per l’Eritrea con il compito di indagare le violazioni dei diritti umani nel paese. Per questo ruolo viene scelta Sheila B. Keetharuth, ex attivista di Amnesty International, ma il governo eritreo non le riconoscerà il suo ruolo e le impedirà anche di fare ingresso nel paese.

Indispettita da questa decisione, la Special Rapporteur si reca in Etiopia convinta di intervistare veri rifugiati eritrei e non tigrini che parlano il tigrigna. A redigere una durissima relazione collaborano con lei diversi attivisti del regime change eritreo tra cui Elsa Chyrum.

Elsa Chyrum - COI
Elsa Chyrum – COI

Nel 2014 il Consiglio di sicurezza dell’ONU, su spinta degli Stati Uniti, affianca a Sheila B. Keetharuth altri due commissari, i signori Dankwa e Smith per darle un grande sostegno nella trasformazione delle violazioni dei diritti umani in Eritrea in “Crimini contro l’umanità”. Il trio viene chiamato Commissione d’Inchiesta (COI). Il precedente rapporto venne ampliato e raggiunge circa 480 pagine con 500 interviste. L’obiettivo del COI è quello di portare tutti i membri del governo eritreo all’International Criminal Court (ICC) fondata a Roma nel 1998 con i soldi di George Soros. Nel 2016 la diaspora eritrea, con una vibrante e pacifica manifestazione a Ginevra, fa recapitare al COI la firma di 250.000 eritrei che vorrebbero testimoniare per contrastare il loro Report[15] ritenuto menzognero nel quale, senza nemmeno citare la fonte, è scritto: “Complessivamente, si stima che circa 5.000 persone lascino l’Eritrea ogni mese, principalmente per andare nei paesi vicini. (…) Ad ottobre 2014, la registrazione dei rifugiati in Etiopia era 106.859.”

UNHCR 2014
UNHCR 2014

La domanda più che legittima è: dove il COI ha preso questi numeri? La cifra fornita dall’UNHCR sulle registrazioni di ottobre è di 84.400 rifugiati. Dove ha preso la Commissione queste 22.000 persone in più?

Nel 2016 il Report venne bocciato dall’Assemblea Generale e il COI ufficialmente dimesso, l’unica a sopravvivere fu la Special Rapporteur ancora con il compito di “fare ulteriori indagini” e il 27 Ottobre 2016 l’instancabile Sheila Keetharuth presenta la sua relazione alla 71a sessione dell’Assemblea Generale trovando “ragionevoli” motivi per credere che i funzionari eritrei avrebbero commesso “sin dal 1991 crimini contro l’umanità con la riduzione in schiavitù, la detenzione, le sparizioni forzate, le torture ed altri atti disumani quali persecuzioni, stupri e omicidi come parte di una campagna diffusa e sistematica contro la popolazione civile” dell’Eritrea.

Purtroppo per lei però nel 1991 gli eritrei lottavano ancora contro il regime dittatoriale del Colonnello Menghistu Hailemariam e l’Eritrea non esisteva come nazione, cosa che avvenne soltanto nel 1993 dopo un referendum plebiscitario dove il 99.8% degli eritrei scelse l’Indipendenza.

UNHCR: parte del problema della migrazione illegale

Una cosa è vera: tutte le ONG dei diritti umani citano l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) come fonte attendibile il quale, nelle sue relazioni, cita le stesse Ong come fonti altrettanto attendibili. Così facendo si reggono il gioco a vicenda. E visto che concordano sulle “5.000 persone che lasciano l’Eritrea ogni mese” è interessante capire come nasce questa cifra tonda.

Il 20 novembre 2014 il Ministero degli Esteri[16] eritreo scrive all’UNHCR per contrastare la cifra dei “6.200 eritrei hanno attraversato l’Etiopia tra ottobre e novembre”. Così sono andato a cercarmi la fonte originale. La notizia dei “6.200 eritrei” si trova in rete ma cliccando sulla fonte “Government of Ethiopia” si entra nel sito del governo etiopico ma la notizia è “Not Found” cancellata. Ma si trova ancora su reliefweb.int del 17 novembre 2014 a firma del portavoce etiopico dell’UNHCR in Etiopia, Kisut Gebregziabher[17]: “più di 5.000 richiedenti asilo eritrei hanno attraversato il territorio etiopico solo nel mese di ottobre”.fakenews

Più tardi, nello stesso giorno, alla riunione al Palazzo delle Nazioni di Ginevra il portavoce UNHCR Adrian Edwards ribadì lo stesso concetto dicendo: “Più di 5000 eritrei hanno sconfinato in Etiopia soltanto nel mese di ottobre rispetto ai 2000 arrivi mensili dall’inizio dell’anno” confermando l’eccezionalità del mese di ottobre. Da quel giorno il “fuggono 5000 eritrei al mese” è diventato per i mainstream media occidentali, per i governi e per le ONG dei diritti umani un mantra da ripetere ogniqualvolta si parli di Eritrea. Persino la Special Rapporteur ed il COI sono caduti nella bufala di Kisut Gebregziabher.

Con la sua lettera il Ministero degli Esteri eritreo accusa il governo etiopico e la stessa UNHCR di incoraggiare “per sinistri scopi politici” i giovani a disertare il servizio militare nazionale che dal periodo standard di 18 mesi si è prolungato proprio a causa dell’occupazione dei territori. Il Ministero accusa in particolare l’UNHCR di aver creato l’effetto di attrazione, il cosiddetto “pool factor” classificando i migranti eritrei come “rifugiati prima facie”.

Nel suo Eligibility Guidelines[18] del 2009 (Direttive di ammissibilità per valutare le esigenze di protezione internazionale dei richiedenti asilo dall’Eritrea) l’UNHCR scrive:

Nei paesi in cui i richiedenti asilo eritrei sono arrivati in numero molto elevato, rappresentano un modello riconoscibile e simile nella natura delle loro affermazioni e laddove nell’elaborazione delle richieste e la determinazione dello status di rifugiato supera le capacità locali, l’UNHCR incoraggia l’adozione di un approccio prima facie.”

Ma che cos’è il prima facie?

La Convenzione di Ginevra prevede che la procedura di determinazione dello status di rifugiato sia “individuale” ma se un eccessivo numero di persone in fuga provenienti dalla stessa regione rendesse praticamente impossibile una valutazione individuale il diritto d’asilo prima facie può essere determinato all’intero gruppo, così come era successo in Ruanda nel 1994 o nel Kosovo nel 1999.

Ma nel caso dell’Eritrea era davvero un tale esodo di massa da giustificare il prima facie? O dietro a questa decisione c’era un preciso disegno politico? È una pura coincidenza che le fonti dell’UNHCR siano sempre US Department of State, Freedom House, Human Right Watch, Amnesty International e Awate, un sito web di pseudo “opposizione eritrea” legato al premier Meles Zenawi[19]?

L’atteggiamento dell’UNHCR nei confronti dell’Eritrea e degli eritrei lascia quantomeno perplessi…

Faccio un altro esempio che aveva preoccupato non poco la diaspora eritrea. Nell’aprile del 2016, dopo un’ennesima tragedia in mare, il solito portavoce UNHCR Adrian Edwards fa un’agghiacciante dichiarazione poi riportata dal sito delle Nazioni Unite: “UNHCR ha ora intervistato la maggior parte dei sopravvissuti alla tragedia di sabato nel Mediterraneo. Secondo loro, il battello è partito da Tripoli in Libia il sabato mattina, a bordo c’erano circa 850 persone, molti di questi erano bambini, tra quelli a bordo c’erano 350 eritrei così come persone provenienti da Siria, Somalia, Sierra Leone, Mali, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio ed Etiopia[20].

Così la Comunità Eritrea in Italia si vide costretta a scrivergli una lettera[21] in cui gli chiedeva come facesse a sapere l’esatto numero delle vittime eritree quantificato in 350 persone quando quello delle altre nazionalità era sconosciuto così come sconosciuto era l’esatto numero dei migranti a bordo. Sembrava che l’UNHCR avesse la lista dei passeggeri.

La giornalista Marilena Dolce[22] nel suo articolo intitolato: Eritrea: sopravvissuti al naufragio nel Canale di Sicilia i tre eritrei imbarcati, scrive che secondo la sua fonte “a bordo c’erano solo 3 eritrei e tutti sopravvissuti”. Ma allora perché l’UNHCR ha voluto allarmare gli eritrei già segnati dalla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre? Perché ha voluto dichiarare dei morti quando non c’erano? Resta il fatto che la Comunità Eritrea non ha mai ricevuto nessuna risposta dall’UNHCR.

 I numeri che non quadrano

Secondo l’UNHCR nel 2008 circa 8.000 eritrei hanno chiesto asilo in Etiopia, 666 al mese. Non sono certo queste le cifre proibitive che rendono impossibile la determinazione dello stato di rifugiato individuale (RSD) ossia esaminare singolarmente ciascuna domanda d’asilo.

Ma i numeri forniti dall’UNHCR sarebbero da prendere con le dovute precauzioni visto che: “La registrazione è principalmente responsabilità dell’ARRA che rappresenta il governo dell’Etiopia. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati può partecipare in qualità di osservatore” come è scritto sul sito di ARRA stesso. ARRA[23] è l’intelligence etiopica che gestisce i rifugiati in Etiopia.

ARRA, Administration for Refugee & Returnee Affairs
ARRA, Administration for Refugee & Returnee Affairs

Ma facciamo un po’ di storia dei numeri, secondo UNHCR Global Appeal 2002, a seguito della guerra Etio-Eritrea del 1998, già nel 2000 si erano rifugiate nel nord Etiopia, cioè nella regione del Tigray, circa 3.300 persone provenienti dall’Eritrea. Erano eritrei di origine etiopica che avevano scelto di essere rimpatriati in Etiopia e altri di etnia Kunama poiché quel territorio conteso appartiene a loro, così come la città di Badme.

A seguito della Proclamazione sui Rifugiati, in Etiopia nel 2004 i numeri raddoppiano fino ad arrivare a contare 8.700 persone. Nel 2006 i rifugiati diventano 13.100 e questa cifra raddoppia nuovamente nel 2008 arrivando a 23.900 persone, un aumento rispetto agli anni precedenti del 237%.

Ma cosa era successo per comportare un simile ed improvviso aumento dei rifugiati?

Il pool factor nel 2008 si chiamava Resettlement[24], un ricollocamento verso paesi terzi, un programma che l’UNHCR riprende con più vigore promettendo di far viaggiare 8.200 rifugiati somali e 6.900 eritrei verso gli Stati Uniti. Prima del 2006 la media degli sconfinamenti in Etiopia era di 100/150 persone al mese, nel 2008 a causa dei Resettlement la media degli arrivi sfiora e supera i 600 mensili. Alla fine del 2010 l’Eritrea entra nella Top 10 dei paesi d’origine dei rifugiati classificandosi al 9° posto.

Sin dal 2005 in Etiopia sono stati registrati dall’UNHCR 32.542 rifugiati eritrei per il Resettlement e di questi ne sono partiti un po’ più della metà, circa 18.718. Secondo ARRA gli eritrei che hanno beneficiato del programma di Resettlement negli Stati Uniti tra il 2008 e il 2009 sono 6.500.

Sarà vero? Come vedremo più avanti i numeri si possono gonfiare a piacere…Una cosa è certa, i Resettlement diventarono un altro pool factor per gli eritrei che sconfinavano in Etiopia arrivando a sfiorare la soglia delle 1500/2000 persone al mese nel 2014. (foto?)

Nel 2016, durante il Leaders Summit on Refugees di New York il Presidente Obama parlando dei Resettlement disse: “Accoglieremo più profughi di altri paesi (…) Come Presidente aumenterò il numero di rifugiati che stiamo accogliendo fino a 85.000.”

Se non è pool factor questo, cos’è allora?

Mare chiuso

Nell’estate del 2008 Berlusconi e Gheddafi firmano il Trattato di Bengasi, un accordo di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Con questo trattato l’Italia riduce drasticamente l’immigrazione clandestina ma nel maggio del 2009 esplode la polemica quando circa 227 migranti vengono rintracciati in mare e rispediti in Libia. L’UNHCR esprime la sua preoccupazione che fra le persone respinte ci siano individui bisognosi di protezione internazionale: “il principio internazionale di non-respingimento continui ad essere integralmente rispettato”.

Loris De Filippi, direttore delle operazioni di Medici Senza Frontiere (MSF Italia) dichiara: “Il rimpatrio forzato è un atto illegale fuori da ogni legislazione italiana ed internazionale” mentre Bill Frelick, direttore per le politiche dei rifugiati di Human Rights Watch dice: “uno sporco accordo per permettere all’Italia di scaricare i migranti e quanti sono in cerca di asilo in Libia e sottrarsi ai propri obblighi”.mare chiuso

Chiuso il mare per gli eritrei l’unica rotta praticabile diventò quella egiziana che li portava fino in Israele attraverso il Sinai rischiando di finire sequestrati da avidi beduini.

Allora tanti attivisti del regime-change eritreo come Meron Estifanos (Radio Erena), Dott.ssa Alganesh Fesseha (Gandhi), Don Mussie Zerai (Agenzia Habeshia) coadiuvati da giornalisti come Paolo Lambruschi (Avvenire) urlarono così forte da riuscire ad avere l’attenzione dell’opinione pubblica italiana ed europea descrivendo e mostrando le foto delle torture che avvenivano nel Sinai proprio per preparare il terreno all’ondata di migranti che di lì a poco sarebbe sbarcata sulle coste italiane. Senza il loro contribuito gli eritrei non avrebbero fatto notizia né in Italia né in Europa ed in Israele sarebbero finiti nell’anonimato. Quei disgraziati del Sinai dovevano invece scuotere l’opinione pubblica a tal punto che si potesse giustificare l’eccezionale ondata di immigrazione che sarebbe arrivata in Italia portando al crollo del Trattato di Bengasi.

Il mar Mediterraneo era destinato ad aprirsi per permettere il passaggio dei “rifugiati” africani. Immaginatevi cosa sarebbe successo se in Italia fossero sbarcati esclusivamente migranti economici, l’opinione pubblica italiana avrebbe costretto il suo governo ad adottare leggi più severe sull’immigrazione, avrebbe blindato il reato di clandestinità e forse si sarebbe costruito un muro invalicabile direttamente sull’acqua.

Perciò, per evitare quelle decisioni così estremiste e populiste, servivano i veri rifugiati, cioè quelli che, secondo i canoni dell’UNHCR, erano da prima facie: gli eritrei e tutti quelli che eritrei si dichiaravano. Che fosse vero o no non aveva alcuna importanza.

A febbraio del 2011 in Libia inizia la primavera araba e il 20 ottobre dello stesso anno Mu’ammar Gheddafi viene catturato ed ucciso dai rivoltosi. La sua uscita di scena ed il fallimento dello Stato libico ha contribuito in maggior misura all’aumento dell’immigrazione sulle coste italiane.

Un mese dopo, nel novembre 2011 a seguito delle dimissioni di Silvio Berlusconi Mario Monti riceve da Napolitano l’incarico per la formazione di un nuovo governo e il 16 novembre diventa Presidente del Consiglio dei Ministri.

Per sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica sulla riapertura del mare, la Open Society Foundations di George Soros commissiona nel 2012 la realizzazione di un film: Mare chiuso[25], un documentario sulle violazioni dell’Italia ai danni degli oltre duemila migranti giunti sulle coste italiane fra il 2009 e il 2010. Il documentario ottiene decine di riconoscimenti a livello internazionale.

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati incarica gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFTDU) di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Dei 227 migranti intercettati in mare e riaccompagnati contro la loro volontà a Tripoli solo 11 somali e 13 eritrei sono stati rintracciati ed assistiti.petizione

Nel suo curriculum l’Avvocato Anton Giulio Lana, Segretario Generale UFTDU, può annoverare svariati progetti finanziati dalla Open Society Foundations così come il giornalista Vittorio Longhi di Progressi.org con il quale, nel 2015, sarà promotore della petizione contro l’Eritrea: l’UE non dia soldi alla dittatura eritrea alla quale aderirà anche Don Mussie Zerai dell’Agenzia Habeshia.

A febbraio 2012 l’Italia viene condannata per i respingimenti in mare dalla corte di Strasburgo e Mario Monti dichiara: “alla luce dell’analisi di questa sentenza prenderemo decisioni per quanto riguarda il futuro” mentre l’ex Ministro dell’Interno Maroni commenta: “Quei provvedimenti hanno salvato moltissime vite che sarebbero state messe a rischio dai viaggi sui barconi. Sicuramente lo rifarei”.

Alle elezioni politiche italiane del 2013 Laura Boldrini, portavoce dell’UNHCR in Italia, viene nominata Presidente della Camera. Sarà pure una coincidenza ma, con il nuovo governo, gli sbarchi aumentano a dismisura.

Secondo le statistiche del Ministero dell’Interno con Maroni nel 2010 gli sbarchi erano 4.406, con Alfano nel 2013 sbarcano 42.963 migranti e nel 2014 170.000!!!

In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dal presidente del consiglio Enrico Letta (28 aprile 2013 – 22 febbraio 2014) autorizza l’operazione Mare Nostrum, una missione di salvataggio in mare dei migranti guidata dalle forze della Marina e dell’Aeronautica Militare italiane.

Sarà proprio Mare Nostrum a far ulteriormente alzare gli sbarchi dei migranti fino alla cifra record di 170.000.

A partire dal 1º novembre 2014, Mare Nostrum sarà sostituito dall’operazione Triton di Frontex.

Dal 2015 per salvare i migranti arrivano nel Mediterraneo le navi delle Ong tra le prime ci sono quelle di MOAS e di MSF Italia.

Con l’aumento delle navi nel 2016 si registra il boom degli arrivi che tocca la cifra di 181.436 persone.

Nel 2017 il Codice Minniti riduce però gli sbarchi a 119.369 e nel 2018 a 7.814 (dato aggiornato ad aprile 2018).

Laura Boldrini, portavoce UNHCR Italia

Per favorire il progetto immigrazionista del Presidente Obama, visto che dalla lontanissima Etiopia i rifugiati dovevano sbarcare numerosi, c’era l’urgenza di cancellare l’accordo Berlusconi-Gheddafi che aveva bloccato il mare e bisognava rendere accogliente l’Italia, un’autentica porta verso l’Europa. Perciò serviva che qualcuno dell’UNHCR si inserisse nell’istituzione italiana per facilitare il lavoro con i rifugiati, qualcuno che avrebbe promosso leggi a favore della migrazione e dell’accoglienza. Chi altri se non Laura Boldrini in persona poteva essere eletta come Presidente della Camera? Della serie a pensar male si commette peccato ma ci si azzecca sempre.

In parallelo alla parte istituzionale e legale della storia bisognava affiancare quella illegale, cioè i trafficanti di esseri umani. Per i globalisti quali George Soros dovevano arrivare in Europa 20 milioni di immigrati in 20 anni, cioè un milione l’anno.

La Comunità Eritrea invece, da sempre impegnata nel voler fermare l’immigrazione dei suoi giovani, ha dovuto combattere in una lotta impari con chi gridava “al regime” per svuotare il Paese, aiutati dai mainstream media italiani e anche dalle stesse istituzioni italiane.

Laura Boldrini è stata senza dubbio un personaggio scomodo e dichiaratamente anti eritreo.

lauraA dimostrazione della sua malafede, subito dopo la tragedia del 3 ottobre, la Presidente della Camera ha ricevuto un gruppo di persone eritree ed italiane e ha scritto sul sito della Camera dei Deputati di incontrare: “i rappresentanti della comunità eritrea“.

Ma, lei che da sempre si schiera contro le bufale online, sapeva perfettamente che quelle persone non facevano parte della numerosa Comunità Eritrea (oltre 10.000 membri in Italia) bensì erano personaggi e attivisti del regime-change in Eritrea nonché proprietari di altrettante ONG: Don Mussie Zerai (Agenzia Habeshia), Alganesh Fesseha (Gandhi Charity), Ribka Sebhatu (MOSSOB – Comitato Italiano per un’Eritrea democratica), Dania Avallone (ASPER – Associazione per i Diritti Umani del Popolo Eritreo), Marco Cavallarin (ex insegnante della scuola italiana di Asmara) e Abraham Tesfay, attivista del regime-change eritreo.

La Boldrini delle #Bastabufale aveva mentito sapendo di mentire perché quelle stesse persone le aveva incontrate cinque anni prima quando era Portavoce UNHCR in Italia. Eccola in una foto del 2008 che la ritrae assieme a queste stesse persone.

Venuta a conoscenza di questo suo “errore”, la vera Comunità Eritrea in Italia il 23 dicembre 2013 le ha chiesto un incontro tramite email ma lei non ha mai risposto. Anzi, per dimostrare la sua preferenza a ricevere esponenti anti eritrei il 22 settembre 2014 ha accolto nel suo studio la Special Rapporteur Sheila Keetharuth a cui ha detto: “Sono drammi che conosco da vicino, per la lunga attività precedente nelle agenzie dell’ONU. A causa di questa fuga il Paese si sta svuotando delle giovani generazioni e non possiamo assistere passivamente a questo fenomeno”.

Un’altra sua attività anti eritrea è stata la creazione della Carta di Roma, un nuovo codice deontologico per giornalisti finanziata da George Soros: “una delle cose che ho fatto con più convinzione, nella mia precedente attività, è aver contributo alla nascita della Carta di Roma, il protocollo per un’informazione corretta su migranti e rifugiati.

Anna Mieli dell’Associazione Carta di Roma racconta di uno degli episodi di cronaca che ne hanno ispirato la nascita: “…un’intervista rilasciata con il consenso ad un noto quotidiano italiano di due richiedenti asilo eritrei, renitenti alla leva (obbligatoria e senza scadenza in Eritrea). Una settimana dopo l’intervista i padri dei due furono prelevati dalle autorità locali e gli fu richiesta una cauzione molto elevata per la loro scarcerazione.”

Ovviamente nessun giornalista ha avuto il coraggio di chiedere a chi di dovere la presentazione delle prove di questi presunti ricatti che sarebbero avvenuti in Eritrea.

E così, col passare del tempo, questa creatura della Portavoce UNHCR in Italia è diventata uno strumento legale per silenziare la voce di un’intera comunità in Italia, com’è quella Eritrea, divenendo uno strumento di censura delle voci che la pensano diversamente in materia di immigrazione e uno strumento contro la libertà di stampa in generale.

In più, sempre senza una singola prova, la Carta di Roma riafferma nei corsi di aggiornamento per giornalisti e pubblicandole nel suo sito[26] calunnie contro la Comunità Eritrea accusata di essere impegnata a far sbattere in galera i familiari dei richiedenti asilo appena sbarcati comunicandone i nomi al governo eritreo. Nel 2014, per esempio, in occasione dell’anniversario del naufragio del 3 ottobre, l’Associazione Carta di Roma pubblica un articolo per ricordare ai giornalisti, ai fotografi, agli operatori televisivi, il punto “c” delle raccomandazioni contenute nel Codice deontologico: “Tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti, adottando quelle accortezze in merito all’identità ed all’immagine che non consentano l’identificazione della persona, onde evitare di esporla a ritorsioni contro la stessa e i familiari, tanto da parte di autorità del paese di origine, che di entità non statali o di organizzazioni criminali (…) Raccomandazione sempre valida. In questo caso resa ancor più necessaria e urgente dal fatto che nei giorni immediatamente successivi alla strage e nei mesi successivi si è avuta più volte notizia di attività di agenti governativi finalizzate all’identificazione dei superstiti eritrei. Per ulteriori informazioni sui rischi che corrono i rifugiati eritrei invitiamo a contattare l’UNHCR (Federico Fossi 06-80212318).carta di roma

Questo clima di terrore e sospetto è stato diffuso ad arte nei giorni della tragedia di Lampedusa proprio da Don Mussie Zerai e dalla Dott.ssa Alganesh “Gandhi” per poter liberamente sostituire i mediatori culturali eritrei con quelli etiopici di etnia tigrina perché sapevano che sarebbero sbarcati numerosi etiopici che avrebbero invece dichiarato di essere eritrei.

La verità è che nessun migrante eritreo arrivato via mare né i suoi familiari hanno mai avuto qualche problema con la Comunità Eritrea. Anzi, quello che Laura Boldrini, UNHCR e Carta di Roma non possono capire è che i ragazzi eritrei, appena ottenuti i loro documenti, si aggregano alla Comunità Eritrea partecipando attivamente alle ricorrenze ed agli incontri con i propri connazionali.

Campi rifugiati d’Etiopia, breve storia

Nel 2001 l’UNHCR negozia con il governo etiopico l’apertura vicino al confine eritreo di un campo rifugiati più adatto e spazioso per sostituire quello temporaneo di Wa’ala Nhibi e nel 2002 venne aperto il nuovo campo di Grat Redda per ospitare i 3.871 rifugiati (eritrei di origine etiopica e kunama).

Visto il successo nel 2004 della Proclamazione dei rifugiati, per questione di sicurezza in quanto il campo Grat Redda era troppo vicino al confine eritreo, il governo etiopico trasferisce i 6.500 rifugiati nel nuovissimo campo di Shimelba. In quell’anno i rifugiati raggiungono quota 8.700.

Nel 2008 viene inaugurato il campo di Mai Ayni, famoso per essere il campo dei minori non accompagnati.

Nel 2010 apre quello di Adi-Harush e nel 2013 apre Hitsats. In aggiunta c’è il campo di Endabaguna che è invece il centro di prima accoglienza.

Tutti questi campi si trovano nel Tigray, la regione più a nord dell’Etiopia mentre altri due campi minori, Asayita e Berhale, si trovano nella regione dell’Afar.

La domanda legittima è: come mai nella regione del Tigray, tristemente famosa per la siccità del 1984 in cui morirono centinaia di migliaia di tigrini, c’è tutto questo fiorire di campi profughi per eritrei?

cartina

Da un documento[28] Wikileaks datato 4 febbraio 2010 si sottolinea un interesse politico ed economico che sta dietro ai campi profughi per gli eritrei sorti in Etiopia.

È scritto: “Il Vicedirettore dell’ARRA, Sig. Ayalew, ha riferito che il governo andrà avanti aprendo un nuovo campo per gli eritrei vicino al campo esistente di Mai Ayni, nonostante le riserve dei donatori e dell’UNHCR.”

Secondo l’UNHCR Mai Ayni non riflette la vera popolazione del campo, dal momento che molti eritrei scelgono di proseguire il viaggio attraverso il Sudan e l’Egitto verso l’Europa e Israele.

Per Cosma Chanda, Vicepresidente dell’UNHCR in Etiopia, “anche se la popolazione di Mai Ayni registrata ha superato i 15.400, il numero di rifugiati che si sono presentati per la distribuzione di cibo in ottobre e novembre non ha superato i 6.000. Al posto di un nuovo campo, l’UNHCR preferirebbe continuare ad usare Mai Ayni oppure inserire nuovi arrivi nel campo di Shimelba, che si sta svuotando a causa del Resettlement negli Stati Uniti.

campi

Nel documento si commenta dicendo: “ARRA ha forti motivi politici e finanziari per farlo. Il governo etiopico ha sostenuto a lungo la corsia preferenziale per i rifugiati eritrei come parte principale della sua politica estera nei confronti dell’Eritrea.” Il documento conclude dicendo: “dovremmo continuare a respingere gli appelli per i nuovi campi eritrei poiché il numero effettivo di rifugiati nei campi esistenti non giustifica alcun nuovo campo in questo momento”.

Forse l’intento di ARRA è quello di far diventare l’Etiopia il paese che ospita più rifugiati in Africa, superando anche il Kenya: “L’Etiopia ha superato il Kenya diventando il più grande paese di accoglienza dei rifugiati in Africa” (fonte UNHCR[29], agosto 2014).

Uno dei tre principi[30] che spinge ARRA ad occuparsi di rifugiati eritrei, somali e sudanesi è quello di: “costruire una pace sostenibile con tutti i suoi vicini”.

Ed è forse per costruire questa pace con i vicini che l’Etiopia combatte in Somalia, finanzia l’opposizione del Sud Sudan e Sudan e addestra nel suo territorio gruppi armati di opposizione eritrea? O è producendo rifugiati da ospitare che si costruisce la pace?

Tutti questi rifugiati ovviamente comportano lauti guadagni ad ARRA. Facciamo un po’ di conti in tasca a questa organizzazione governativa benefattrice.

Budget e partners

Ai tempi della Refugee Proclamation i rifugiati provenienti dai paesi confinanti con l’Etiopia erano 86.585 di cui 6.450 eritrei. Il fabbisogno totale secondo l’UNHCR era di 16.960.794 di dollari, circa 195 dollari a persona. Nel 2010, secondo anno della presidenza Obama il budget raddoppia sfiorando 300$ a persona.  Per il 2018 la stima del fabbisogno dell’UNHCR è pari a 335.800.000$, i rifugiati registrati al 31marzo 2018 sono 916.678, quindi il budget sarebbe di 365$ a persona.

Badget

Con 365 dollari a persona uno potrebbe anche pensare che il rifugiato viva in un albergo decente servito e riverito da camerieri gentili. Ma così non è.

Ecco la razione mensile di cibo che un rifugiato prende in Etiopia offerta dal World Food Program: 10 kg di grano (non macinato), 1 kg di olio di palma, 1 kg di farina con proteine comunemente conosciuta come Fafa, ¼ di kg di sale e di zucchero. Per quanto riguarda i soldi, solo all’ingresso nel paese i rifugiati ricevono cibo olio30 birr (0.891€).

Jana Mason[31], Senior Advisor UNHCR USA, testimoniando per Tom Lantos Human Rights Commission (TLHRC) ad un’audizione sui diritti umani dal titolo: “Eritrea: principali cause della crisi dei rifugiati” ha detto: “Sebbene sia un paese sicuro, uno dei motivi che costringe i rifugiati eritrei a partire (dall’Etiopia) è anche la pochezza dei fondi. Per esempio la razione di cibo in Etiopia verrà tagliata da 2.100 kcal/giorno a 1.200 kcal/giorno. Io non posso vivere con 1.200 kcal, se hai figli che devono crescere poi il rischio che si corre è la malnutrizione che è molto diffusa nei campi.

Così come in Italia anche in Etiopia dunque si lucra e si mangia con i rifugiati.

E a spolpare l’osso sono in parecchi.

Nel 2002 l’UNHCR contava in Etiopia la collaborazione di 19 ONG nazionali ed internazionali, nel 2014 diventano 41 e oggi sono una sessantina. La stessa UNHCR che all’inizio del 2001 aveva 195 impiegati in Etiopia di cui 25 internazionali e 4 uffici, nel 2012, quando il Presidente Obama faceva quel famoso discorso al Clinton Global Initiative, aumenta il suo staff a 404 impiegati di cui 73 internazionali e gli uffici diventano ben 40.

Questa è la lista di tutte le Ong partners di UNHCR & ARRA che ruotano attorno all’affare dei rifugiati in Etiopia:

partners 2014Action Contre la Faim – France, Africa Humanitarian Action, African Humanitarian Aid and Development Agency, Action for the Needy In Ethiopia, Action for Social Development and Environmental Protection Organization, Agricultural and Rural Development Office, Bureau of Agriculture, Catholic Relief Services, Centre for Victims of Trauma, Concern World Wide, Dan Church Aid, Danish Refugee Council, Development Expertise Center, Development InterChurch Aid Department, Ethiopian Orthodox Church Development And Interchurch Aid Commission, Refugee And Returnee Affairs Department, Danish Refugee Council, Ethiopian Evangelical Church – Mekaneyesus Development and Social Service Commission, GAIA Association, GHANDI Foundation, GOAL, Gambella Rural Road Authority, HelpAge International, HUMEDICA Ethiopia, Innovative Humanitarian Solutions, International Medical Corps – USA, International Organization For Migration (IOM), International Rescue Committee – USA, Jesuit Refugee Service, The Lutheran World Federation – Switzerland, Maternity World Wide, Mother And Child Development Organization – Ethiopia, Mothers And Children Multisectoral Development Organization, Médecins Sans Frontières (Holland), Médecins Sans Frontières (Spain), Norwegian Refugee Council, Natural Resources Development And Environmental Protection, Opportunities Industrialization Centers Ethiopia, Organization for Sustainable Development, Orthodox Church Ethiopia, OXFAM GB, Partnership for Pastoralists Development Association, Plan International Ethiopia, Partner For Refugee Service, Pastoralist Welfare Organization, Rehabilitation And Development Organization – Ethiopia, Save The Children International, Save The Environment Ethiopia, Tselemet Woreda Agriculture and Rural Development Office, United Nations Children’s Fund (UNICEF), UNOPS, UNV, Women and Pastoralist Youth Development Organization, United Nations World Food Programme, World Health Organization, World Vision, ZoaVluchtelingenzorg/Refugee Care – Netherlands.

Ma cos’è la Refugee Proclamation?

Nel 2004 l’Etiopia di Meles Zenawi promulga la Proclamazione sui rifugiati[32], una legge che governa tutto il sistema di accoglienza nazionale, una legge che presenta incoerenze su alcuni punti, per esempio l’Articolo 21 che legifera: “il capo dell’Autorità può designare luoghi e aree in Etiopia entro i quali i rifugiati riconosciuti, le persone che hanno chiesto il riconoscimento come rifugiati e i loro familiari devono vivere, a condizione che le aree designate siano situate a una distanza ragionevole dal confine del loro paese di origine o di una precedente residenza abituale”.

Secondo Christopher K. Mubanga[33], Capo Ufficio UNHCR in Zambia, questo articolo violerebbe la Costituzione etiopica nell’Articolo 32, paragrafo 1, poiché essa consente a tutti gli stranieri che vivono in Etiopia di scegliersi un luogo di residenza.

La proclamazione dei profughi del 2004, limita la libertà di movimento dei rifugiati e richiede che tutti i rifugiati vivano in aree designate, comunemente conosciute come Campi, e non sono autorizzati a lasciare il campo senza autorizzazione. Il mancato rispetto porterebbe a procedimenti giudiziari e possibile reclusione” scrive Christopher K. Mubanga.

La Proclamazione viola anche l’Articolo 26 della Convenzione di Ginevra del 1951[34] sul Diritto di libero passaggio: “Ciascuno Stato Contraente concede ai rifugiati che soggiornano regolarmente sul suo territorio il diritto di scegliervi il loro luogo di residenza e di circolarvi liberamente”.

Ma perché Meles aveva violato sia la sua Costituzione che la Convenzione di Ginevra? Perché voleva a tutti i costi tenere i rifugiati rinchiusi nei campi impedendo loro di uscire senza autorizzazione pena la carcerazione? Cosa aveva in mente?

Un eritreo non può credere alla bontà d’animo di uno come Meles, non può credere che lui avesse a cuore le sorti di quei giovani da accogliere. Solo qualche anno prima, in una stupida disputa di confine ne aveva uccisi 19.000 di quei giovani. E nel 1998 aveva espulso e deportato dall’Etiopia 90.000 loro parenti dicendo: “Se il governo etiopico dicesse andate perché non mi piace il colore dei vostri occhi, devono solo andarsene!” Lui, in quelle maledette giornate, aveva ordinato la caccia all’eritreo e gli eritrei furono prelevati in piena notte dalla propria casa con indosso solo pigiama e ciabatte e portati in prigione, altri sono stati catturati nel posto di lavoro con gli abiti sporchi, nemmeno i malati negli ospedali furono risparmiati. Gli eritrei vennero derubati dai loro stessi vicini persino dei vestiti negli armadi, ricattati dai loro amici e dai loro dipendenti a vendere per pochi Birr case e negozi. Infine caricati sulle corriere e accompagnati fino al confine. Lungo il tragitto morirono in parecchi, anche di crepacuore. Molti di loro vivevano lì dai tempi dell’Imperatore Haile Sellassie e i loro figli non parlavano nemmeno il tigrino ma solo l’amarico.

Meles non amava affatto gli eritrei e nemmeno i “profughi eritrei” che pretendeva di proteggere. Lui che voleva svuotare l’Eritrea, aveva trovato in loro la sua arma poiché questa guerra la si combatte usando i rifugiati al posto dei proiettili. D’altronde quella guerra dichiarata nel 1998 da Meles Zenawi non è mai terminata.

Solo uno stratega convinto di vincere la guerra poteva pensare di rinchiudere gli eritrei come prigionieri nei campi profughi offrendo loro l’unica alternativa di fuga quella di andarsene per deserto e mare. Forse per questo motivo Meles lasciò impunito il proliferare dei trafficanti di esseri umani all’interno dei campi rifugiati. Ad aiutarlo nel suo demoniaco progetto oltre agli Stati Uniti anche tutti i paesi occidentali che hanno aderito al programma del Resettlement e della Relocation, cioè il trasferimento di soli siriani ed eritrei in 28 paesi europei dall’Italia e dalla Grecia.

Parlano i rifugiati d’Etiopia

Ho incontrato a Roma alcuni ragazzi partiti dai campi rifugiati dell’Etiopia e sbarcati in Italia nell’ottobre del 2017 con la speranza di poter rientrare nella Relocation. Come gli amici sbarcati prima di loro che vedevano farsi i selfie sui social network vestiti alla moda anche loro sognavano di arrivare nel nord Europa dove da subito avrebbero guadagnato oltre 1.000 euro mensili senza sudare troppo. Purtroppo per loro però il programma era terminato il 27 di settembre. Ma nessuno si rassegnava a rimanere in Italia.

Rahel, 21 anni, è arrivata in Etiopia a febbraio del 2016 precisamente nella città di Badme dove fu fermata dai poliziotti sorpresi che fosse arrivata fin dentro la città senza che nessuno l’avesse catturata prima, verso il confine. Mi racconta che nella stazione di polizia è stata maltrattata e il giorno seguente portata nel campo di prima accoglienza di Endabaguna dove le hanno preso le impronte digitali e interrogata: “Perché non hai fatto il servizio militare? Siete tutti militari, cosa hai da nascondere?” Si tranquillizzarono solo quando tirò fuori la foto della figlia rimasta in Eritrea e fu registrata come rifugiata perché gli etiopici sanno che se sei mamma non fai il servizio militare.

Non hai parlato con quelli di UNHCR?

Endabaguna, centro di prima accolgienza
Endabaguna, centro di prima accoglienza

Ho visto dei bianchi lì –mi conferma Rahel – ma nessuno parlava con noi che eravamo appena arrivati nel campo. Non parlavano con noi. Poi quelle ragazze di ARRA ci hanno ordinato di spogliarci completamente nude dicendo ‘voi avete sempre soldi’ e ci hanno perquisito nell’intimità cercando soldi o gioielli. Per esempio se ti trovano i dollari li prendono e in cambio ti danno pochi birr, ti fregano sul cambio.

Dopo una settimana Rahel è stata trasferita a Hitsats.

Anche Dawit (30 anni) è arrivato a Hitsats nel 2016. “Dopo il discorso di benvenuto, il capo del campo, un certo Tsigab, ci avverte sul pericolo che si corre nel proseguire il viaggio da soli e ci dice: ‘Vi portiamo noi con la corriera di ARRA fino in Sudan, ci pensiamo noi a voi, vi offriamo un viaggio sicuro e non avrete problemi, ma se provate ad andarvene da soli cadrete nelle mani dei trafficanti! Sapete o no delle morti dei vostri fratelli che sono finiti nelle mani sbagliate?’ Tsigab ci invitò ad iscriverci nella lista di quelli che volevano partire per il Sudan. Io non avevo soldi ma qualcuno che era arrivato con me partì qualche giorno dopo. Venni a sapere che la corriera ti portava fino a Metema sul confine e da lì te la dovevi cavare da solo con i trafficanti della zona. Alcuni erano tornati indietro a Hitsats altri avevano proseguito in Sudan per conto loro. Ti dicono che ti accompagnano con i mezzi dell’ARRA, che è un viaggio sicuro ma poi ti abbandonano in mezzo al niente in balia dei trafficanti. Ma i trafficanti vivono anche dentro il campo con noi.”

I trafficanti vivono nei campi assieme ai rifugiati

Un anno prima della tragedia di Lampedusa, nell’ottobre 2012, Amaniel Eyasu, giornalista eritreo di opposizione legato al premier Meles Zenawi, girò un video[35] del suo seminario tenuto nei campi di Mai Ayni e di Adi-Harush. Era andato a spiegare la tragedia nel Sinai, per dire che non dovevano andare lì. In mezzo al numeroso pubblico c’era persino qualche sopravvissuto del Sinai liberato dalla Dott.ssa Alganesh “Gandhi” con i soldi raccolti da Don Mussie Zerai. La Dott.ssa Alganesh è un’altra eritrea del regime-change la cui ONG è riconosciuta come partner ARRA. Infatti, il suo nome viene menzionato al minuito 08.05 quando un ragazzo prende il microfono e dice: “Sono le Ong come la Dott.ssa Alganesh e Don Mussie e altri loro seguaci ad essere gli unici che potrebbero aiutare quelli che stanno soffrendo nel Sinai.”

6000 euro

Cioè, nello stesso posto da cui partiranno quei disgraziati del 3 ottobre, venivano pubblicamente fatti i nomi di Don Mussie e della Dott.ssa Alganesh a dimostrazione che in Etiopia questi due “angeli dei rifugiati” erano già famosi da parecchi anni prima della tragedia.

Nel suo video Amaniel Eyasu parla proprio a quei rifugiati che poi moriranno annegati in quel maledetto 3 ottobre.

Gran parte degli interventi dei rifugiati erano incentrati sui trafficanti di esseri umani che vivevano all’interno dei due campi: “Io vorrei chiamare all’azione l’UNHCR e ARRA per organizzare un dibattito pubblico e denunciare facendo i nomi ed i cognomi ed esporre alla pubblica gogna i trafficanti.”Amaniel & Meles

Una donna dice chiaramente: “I trafficanti sono qui con noi, sono qui seduti ad ascoltarci. Una trafficante che lavorava tra Israele e Sudan quando è stata identificata è scappata ed è venuta qui (Adi-Harush). Quando è stata cacciata da qui è andata a Mai Ayni, e quando l’hanno cacciata da lì è andata ad Addis Abeba. In questo momento Addis Abeba è diventata un centro di banditi e di trafficanti di eritrei. Qui è il governo etiopico che ci dovrebbe aiutare catturando queste persone. Un eritreo che non è un rifugiato e non lavora è di sicuro un trafficante. Dicono che se paghi e corrompi i poliziotti ti liberano anche se sei un trafficante. Si dice anche che in Etiopia non ci sono problemi per chi traffica esseri umani.

Un altro rifugiato più anziano si lamentò dicendo: “Capisco che uno possa uscire per i motivi suoi personali ma non accetto quelli che entrano in Eritrea per raccattare gente da far uscire. Perché non fermiamo queste persone? Qui il governo etiopico ci dovrebbe aiutare!

Un ragazzo denuncia che nell’aprile del 2012 la polizia aveva ingabbiato un trafficante di minorenni di Mai Ayni e che due persone erano andate a portargli da mangiare in prigione. “Io ho detto alla polizia, davanti a testimoni, che anche quelle due persone in visita erano trafficanti suoi compari ma la polizia non ha fatto niente. Uno dei due è ancora qui con noi! Ma adesso hanno iniziato a trafficare la rotta verso la Libia. La cosa peggiore è che stanno andando in Eritrea per portare altra gente, qui gli danno 20.000 Birr a persona e tornano con dieci persone a testa.

La confessione di un Commissario UNHCRAcnur. UNHCR

A Roma ho anche incontrato un ex commissario UNHCR in pensione.

Nel 2008 sono andato a vedere l’area di Mai Ayni dove avevano messo le ruspe per duplicare il campo esistente dato il flusso continuo di eritrei per il Resettlement. Poi sono stato nel campo di Shimelba e lì non c’era nessuno, avevano dichiarato 16.000 rifugiati o anche di più poi parlando qua e là con qualcuno che stava dentro e facendo un giro mi sono reso conto che gli iscritti alla razione di cibo erano tutta popolazione locale. Infatti le partenze degli eritrei venivano integrate con la popolazione locale, il campo era vuoto ma i numeri sempre alti.

Sono andato a parlare con quelli di ARRA ad Addis dicendogli ‘Ma che cosa state combinando? Perché state facendo un nuovo campo, non serve, il numero dei rifugiati che dichiarate è falso! Se continuate ad esagerare se ne accorgeranno persino gli europei.’ Si sono messi a ridere. Non gliene fregava niente delle mie parole. I capi di ARRA ti fanno capire con le buone di fare il bravo e ne hanno ben donde, noi non contiamo un bel niente!

“Parlando con molti ragazzi eritrei che sono passati in tutti i campi etiopici mi hanno detto che non ci sono 168.000 profughi, lei che ne pensa? Ci sono o no questi eritrei lì dentro?” ho chiesto al Commissario UNHCR.

Se il governo non ti fa fare la verifica dei numeri basta una foto aerea per fare una stima approssimativa vicina alla realtà” mi risponde con il tono di chi è convinto che quelle cifre siano moltiplicate per dieci. E mi spiega che l’ARRA ha sempre imbrogliato su tutto…

All’epoca ARRA aveva 180 dipendenti sotto pagamento dell’UNHCR, qualsiasi richiesta di documentazione a riguardo veniva liquidata da ARRA con ‘segreto di stato’ oppure ‘sicurezza nazionale’. Tutti i campi profughi in Etiopia sono finanziati al 100% dall’UNHCR che non solo copre le spese di tutti i campi ma anche di tutti i progetti.

Dal 2008 l’UNHCR finanzia anche la ‘struttura ARRA’ che è comunque un’intelligence etiopica, per la modica cifra di 650.000 dollari all’anno. Cioè noi paghiamo 650.000$ all’anno per far esistere l’ARRA. Si rende conto vero?

In pratica ARRA non risponde a nessuna delle richieste di UNHCR.

“Le faccio un esempio banale sul fatto che l’UNHCR non possa dire di no ad ARRA.

Andavano in Eritrea con i nostri fuoristrada targati UNHCR per caricare gente da portare nei campi rifugiati.”

Addirittura andavano in Eritrea con le macchine dell’UNHCR a prendere i rifugiati?

“Sì, e non solo. È capitato anche che, con la scusa di aver avuto un incidente, ci portassero delle carcasse di auto Nissan chiedendone la sostituzione, noi però gli avevamo consegnato delle Toyota. In quegli anni dal parco garage dell’UNHCR sono spariti così circa 180 fuoristrada. Queste manovre le conoscono anche i pezzi grossi dell’UNHCR, ma nessuno ne parla. Alle mie rimostranze, tanti miei colleghi mi hanno consigliato di tacere, di lasciar correre. Io parlo di dieci anni fa ma sono convinto che negli ultimi anni le cose saranno anche peggiorate.”

La corruzione la fa da padrona100 birr

Aman, 25 anni, è entrato ad Adi-Harush ad ottobre 2010 quando il campo era stato aperto da poco. È stato in Etiopia per un anno.

Quando sono arrivato ad Endabaguna mi hanno fatto domande di tipo militare. Gli ho detto che ero scappato per motivi economici ma loro non mi hanno creduto poiché ero un militare. Mi chiesero della mia unità, chi erano i capi della mia divisione e della brigata. Volevano i nomi, volevano carpire da me segreti militari. Gli dissi che non sapevo niente se non quello della mia unità. Allora mi hanno rinchiuso in questa prigione chiamata Endahasebela, (lett. pensatoio) Lì dentro sei un prigioniero e non un rifugiato. Sei sorvegliato da militari armati. Ogni giorno mi chiedevano se ci avessi pensato su. ‘Ti sei deciso a parlare?’ mi dicevano ogni giorno. Con questi interrogatori loro sanno tutti i nostri segreti militari, tutte le nostre postazioni. Io dicevo sempre di no e così ho trascorso un mese lì dentro. C’è gente che è stata rinchiusa sei mesi in Endahasebela. Se avessi avuto i soldi avrei potuto corromperli altrimenti non c’era altro modo di uscire se non raccontando quello che volevano sentirsi dire. Allora ho parlato e sono riuscito ad entrare nel campo di Adi-Harush.

Dawit mi racconta invece che il campo di Hitsats è diviso in quattro zone: A, B, C e D, che non c’è elettricità e per cucinare bisogna comprare il carbone o andare alla ricerca di legna da ardere. “Lì è tutto a pagamento, se hai i soldi gli abitanti della zona ti vendono tutto: la legna, l’acqua, persino per ricaricare la batteria del telefono ti chiedono un birr. Noi siamo il loro guadagno, il loro pane quotidiano. Siamo un bel business per loro” mi dice Dawit rievocandomi il grande affare dell’accoglienza in Italia, la gestione della migrazione di Mafia Capitale, il lucro delle cooperative. E mi rendo conto di quanto sia piccolo il mondo.

Noi eritrei non possiamo uscire fuori da campo ma pagando, cioè corrompendo quelli dell’ARRA, otteniamo un documento per viaggiare che costa 3.500 birr ma puoi arrivare ad Addis Abeba o a Mekele. Lo stesso devi stare attento a non farti prendere, se i Federal-Police ti trovano ti riportano nel campo” mi ha detto Aman di Adi-Harush.

Dicono che attualmente ci siano circa 168.000 rifugiati eritrei nei campi del Tigray, è vero? gli chiedo.

Non ci sono – mi risponde Aman scuotendo la testa incredulo – ci saranno sì e no 16.000 persone. Devi sapere che noi l’Etiopia la usiamo solo come paese di transito, quelli che ci sono rimasti inchiodati a lungo sono coloro che aspettano i Resettlement, aspettano anche otto o dieci anni, oppure ci rimangono quelli che non hanno nessuno all’estero che gli manda i soldi per proseguire il viaggio.

Ma tu come fai a sapere che non ci siano tutti questi rifugiati?

Le persone sono sempre le stesse, quelli che hai visto in Etiopia li incontri in Sudan e Libia. Se fossimo così tanti non ti rincontreresti nemmeno – dice Aman e continua –ti aggiungo una cosa, vedi è passato un anno e mezzo da quando sono uscito ma non vuol dire che io sia stato cancellato dal sistema ARRA. Anche se sono qui a Roma sono sicuro che con la mia carta n° 644119 stiano continuando a ritirare la mia razione di cibo così come facevano quando mi ero nascosto a Mekele per sei mesi. Non ci vogliono tra i piedi anche per questo, sai? E così fanno con le migliaia di persone che sono passate di là. In Etiopia non ci sono i controlli come in Italia dove firmi tutti i giorni, lì non si firmava mai. C’è il rinnovo ogni due, tre anni dove fanno gli accertamenti della firma e della tua esistenza, il mio valeva quattro anni ma è ARRA che fa gli accertamenti e possono cambiare il rinnovo quando vogliono loro.”

Quando sei uscito dall’Eritrea, paese considerato “senza libertà”, e ti trovavi in Etiopia, al sicuro, non hai mai pensato di rifarti una vita lì?

Non c’era futuro e speranza in Etiopia, non puoi vivere in quei campi, non hai alternative se non andartene via. Loro ti costringono a farti prendere la decisione di partire, sei incentivato ed incoraggiato a farlo. I trafficanti eritrei e tigrini con la complicità di ARRA e dei Federal-Police ti portano in Sudan in cambio di 10.000 o 20.000 birr. Era tutto organizzato per mandarti via. Era come dice il nostro proverbio: Non dirgli di andare via fai in modo che se ne vada via!

Incidenti nei campi profughi

Rahel mi parla dei problemi che una ragazza deve affrontare nel campo di Hitsats: “Assieme ad un’altra ragazza fui portata in una tenda e ci trovammo dentro due ragazzi che poi scoprimmo essere trafficanti che vivevano lì da tre anni, infatti ci proposero subito di accompagnarci in Sudan. Ma nessuna di noi due aveva i soldi per il viaggio. Durante la notte provarono a violentarci e noi urlando riuscimmo a scappare e fummo aiutate da alcuni ragazzi che vivevano vicino alla nostra tenda. A Hitsats non esiste nessun controllo, non c’è nessuna sicurezza, si vive in promiscuità tra maschi e femmine, questo è un modo per creare situazioni di violenze sulle donne, infatti le violenze carnali sono quotidiane come puntuali sono le gravidanze e gli aborti.”

E gli incidenti sono all’ordine del giorno…

Il 22 novembre 2010, ad Adi-Harush un Federal-Police ha sparato ad un ragazzo di Senafe di nome Merih, un rifugiato con cui una settimana prima aveva fatto a botte al Bar American che si trova dentro il campo. Dopo avergli sparato alla gamba il militare è scappato via dal campo mentre Merih fu portato nell’ospedale di Scirè dove gli hanno amputato la gamba. “La sera stessa tutti noi eritrei del campo protestammo rumorosamente – racconta Aman – il campo fu circondato da altri Federal-Police che entrarono dentro sparando in aria per intimidirci. Gridammo perché non venivano rispettati i nostri diritti umani, perché i militari possono liberamente spararci a sangue freddo. Chiedemmo che il colpevole fosse portato davanti alla giustizia. I Federal-Police ci promisero che avrebbero catturato il colpevole ma in realtà venimmo a sapere in seguito che l’avevano solo trasferito in un altro campo.”protest

Un documento[36] Wikileaks racconta di un episodio capitato a Mai Ayni durante la notte del 18 gennaio 2010: “il personale di sicurezza etiopico (non si sa se fossero poliziotti o ENDF) spararono contro un’automobile che non si era fermata ad un checkpoint a sei chilometri dal villaggio di Endamadre nella regione del Tigray. Otto rifugiati eritrei del campo di Mai Ayni erano nella vettura e una ragazza di nome Yohana Gebreyohannis Kahsay è stata uccisa. Altri due rifugiati sono stati gravemente feriti e ricoverati in una struttura sanitaria delle vicinanze.

Altri due tragici episodi sono capitati nei campi di Mai Ayni e Adi-Harush all’indomani della tragedia di Lampedusa in cui sono morti molti ragazzi partiti proprio da Mai Ayni. Tutti i rifugiati decisero di commemorare i loro fratelli con una fiaccolata di candele e durante la marcia arrivarono davanti agli uffici dell’UNHCR e di ARRA. A quel punto alcuni ragazzi trasformarono la commemorazione in una protesta contro i dirigenti del campo. I Federal-Police etiopici spararono vari colpi di kalashnikov uccidendo 6 rifugiati tra cui un 14enne e ferendone parecchi. Per solidarietà, la protesta proseguì anche ad Adi-Harush dove il bilancio divenne ancora più grave, si parlerà di 17 morti e 34 feriti.

Emilio Drudi[37] scrive sull’accaduto: “in cambio di una tangente, gran parte dei pochi posti disponibili del programma di protezione internazionale sarebbero riservati a finti rifugiati, giovani etiopi che, facendosi passare per eritrei, trascorrono un breve periodo di soggiorno nei campi, sicuri poi di poter partire per l’Europa, il Canada o gli Stati Uniti, con la complicità di funzionari ‘infedeli’. La fiaccolata voleva contestare tutto questo: gridare che la tragedia di Lampedusa sarebbe figlia anche di questi ritardi e della corruzione imputata alla burocrazia di Addis Abeba. Perché mai quei disperati affogati a mezzo miglio dalla spiaggia si sarebbero rivolti ai trafficanti di esseri umani se avessero avuto la speranza di un canale legale di emigrazione. E molti li conoscevano bene quei disperati, perché una gran parte erano loro amici”.

I Federal-Police imprigionarono decine di ragazzi nei due campi identificati come elementi pericolosi e li liberarono dopo aver loro rasato i capelli, per riconoscerli anche da lontano. Successivamente li portarono ad Addis Abeba per partecipare ad una manifestazione contro il governo eritreo.

In un video pubblicato su Youtube[38] il 9 ottobre 2013 i rifugiati eritrei a Mai Ayni protestano gridando: “Basta con il traffico di esseri umani. Chiediamo che l’UNHCR e ARRA siano presenti qui davanti al nostro problema. In questa nostra pacifica protesta ARRA ci deve garantire la sicurezza e la legittima incolumità, noi non vogliamo essere amministrati da organizzazioni militari armate. L’UNHCR è solo di facciata, non è in servizio. Gli etiopici che si sono impossessati della nostra tessera e che si trovano in questo campo devono uscir fuori. Stop alla vendita di documenti! Che siano rispettati i diritti delle donne. Che siano rispettati i diritti dei bambini”.

Del furto dell’identità eritrea, i tigrini che si spacciano per eritrei al fine di ottenere lo status di rifugiato o per usufruire del programma di Resettlement, ne ha parlato anche il giornalista Fausto Biloslavo nel suo articolo pubblicato su Panorama[39] L’imbroglio dei finti profughi eritrei. “Nel campo profughi in Etiopia di Mai Ayni mi hanno rubato l’identità – spiega Fasil, arrivato nel 2016 in Italia con un barcone (…) racconta dell’imbarazzo della funzionaria occidentale dell’UNHCR quando ha controllato sul computer il suo nome – È rimasta stupefatta. I miei dati risultavano corretti, ma la foto della persona già partita grazie alle Nazioni Unite non era mia. Mi avevano fregato”.

I minori non accompagnati di Mai Ayni

Mai Ayni Camp
Mai Ayni Camp

Uno studio di Women’s Refugee Commission[40] al capitolo Resettlement scrive: “Nel campo di Mai Ayni, tanti bambini hanno ammesso che, avendo sentito del trasferimento negli Stati Uniti di gruppi di eritrei dal campo di Shimelba, erano arrivati in Etiopia nel 2009/2010 nella speranza che anch’essi venissero inclusi e inviati.

Ciò viene confermato da alcuni minori non accompagnati di Mai Ayni video-intervistati[41] da un’attivista del regime change Elsa Chyrum, proprietaria di Human Rights Concern Eritrea, una ONG finanziata dal National Endowment for Democracy (NED).

Human Rights Concern Eritrea - Elsa Chyrum
Human Rights Concern Eritrea – Elsa Chyrum

Simon Tsegay un bambino di 11 anni disse che era arrivato seguendo i suoi amici di 13 anni.

“Ti hanno detto che andavano in Etiopia? – chiede Elsa – Si. – risponde Simon -Ti hanno detto a fare cosa? Per andare in Israele. Israele è vicino da qui? No. Da che parte si trova? Di là. Come ci si va? In aereo, se vai di là c’è un aereo che ti porta in Israele. Era questa la vostra idea? Sì. E adesso come ti sembra? Non è come l’avevamo pensato. Ti manca la tua famiglia? Sì. Vorresti tornare da loro? Sì. (…) Cosa altro vorresti? Dei vestiti. Fa freddo? Sì. Che altro vorresti? Sapone e scarpe.

Teame Afewerki, un bambino di 8 anni della zona di Senafe, città eritrea al confine con l’Etiopia, racconta invece di aver sconfinato assieme ad altri quattro suoi amici e coetanei.

“Dove pensavate di andare? Così, perché avevamo dei fratelli e siamo venuti per vederli. Come si vive qui? Male, ho nostalgia dei miei genitori, il sapone ci arriva di rado, così i vestiti. Li danno ad altri ma non a me. Che altro vuoi dire? Che voglio tornare nel mio paese. Andresti via con me adesso? Sì. Sei pronto? Sì.

La terza intervistata è di Kisanet Berhe, una bambina di 13 anni proveniente da Tsorona, paesino sul confine, arrivata in Etiopia un anno prima.

“È lontano il tuo paese dall’Etiopia? No è vicino, ci separa solo un ruscello. Perché sei venuta qui? Con le mie amiche. (…) Siamo venute perché abbiamo visto che ci andavano gli altri. Pensavamo che era bello, credevamo che potevamo andare e poi tornare indietro.

Abdu Ismael, 13 anni, anche lui dei dintorni di Tsorona, aveva fatto tre anni e sei mesi nel campo di Mai Ayni, arrivato quando aveva 10 anni.

“Sei pentito di esser venuto qui? Sì. Vuoi tornare in Eritrea? Si, voglio. (…) Dove si vive meglio, qui o nel tuo paese? Nel mio paese.

Mebrit Ghidey 14 anni, di Senafe, è arrivata a Mai Ayni da un anno.

“Se ti dicessi andiamo in Eritrea adesso ci andresti? Si, ci andrei. (…) Avevi chiesto di tornare? Qui non ho chiesto ma quando ero a Endabaguna, ci avevano detto se volevamo tornare in Eritrea e io avevo detto di sì. (…) Volevi tornare subito? Sì, quando sono venuta qui mi sono pentita. (…) E loro ti hanno detto che non puoi più tornare. Sì.

L’intervista più drammatica è quella di Teamu Ghebreyohanes, 15 anni di Senafe, arrivata nel 2010 quando aveva 13 anni.

“Hai nostalgia dei tuoi? Sì. Vorresti tornare a casa? Sì. (…) E se ti dicessero di tornare in Eritrea ci torneresti. Sì, ci tornerei. Anche se ti prendono a fare il militare? È soltanto un’idea che potrebbero prendermi per fare il militare ma non è detto che mi prenderanno, ma vorrei tornare lo stesso. Avevi chiesto di tornare? Non ho chiesto ma ho provato a farlo credendo di farcela. Come, tornare da qui scappando? Sì. Ti hanno catturata? Sì. Dove eri arrivata quando ti hanno preso? Vicino a Endapadre. Quando? Appena arrivata, nel 2011. Quante volte hai provato? Sei volte. E ogni volta ti hanno riportano qui. Sì. Ti rimproverano quando ti catturano dicendo perché scappi, ti puniscono? Si, ci mettono in prigione. Quale prigione? Lì c’è una prigione etiopica. Dove, qui a Mai Ayni? Sì. Com’è questa prigione, è dura? Già, fa troppo caldo per il sole perché è fatta di lamiera. State seduti lì tutto il tempo? Sì. Dopo cosa vi dicono? D’ora in avanti non lo fate più e poi ci mandano nel campo. Vi picchiano? Sì, quando entriamo ci picchiano ma non è tanto grave. Chi è che vi picchia? Sono poliziotti etiopici. Sono poliziotti? Sì. Vi fanno male quando vi picchiano? Abbastanza. Dove vi picchiano? Su tutto il corpo. Con che cosa vi picchiano, un bastone? Sì, con un bastone, quello nero. Quello dei poliziotti che serve per bastonare? Sì. Ti dispiace quando ti catturano? Sì. Avresti preferito vivere con i tuoi familiari? Si era meglio con la mia famiglia.

Durante la lunghissima video intervista Elsa Chyrum tentò più volte di imboccarli con parole “giuste” nella speranza di sentire cose utili da riferire alla sua amica Sheila Keetharuth, alla quale aveva già fornito tante altre informazioni utili per accusare l’Eritrea di gravi violazioni sui diritti umani. Ma di sicuro avrà omesso di raccontare la grande scoperta che aveva fatto durante l’intervista. E cioè che una volta che disgraziatamente i bambini eritrei hanno sconfinato in territorio etiopico non hanno più modo di rifare la strada al contrario e tornarsene a casa. Vengono trattenuti sotto sequestro dalle autorità etiopiche nonostante le migliaia di lettere da loro scritte per i propri familiari tramite la Croce Rossa nel campo di prima accoglienza di Endabaguna. Però, gli stessi bambini possono sconfinare nel più distante Sudan. C’è un motivo per questo!

La tragedia del tre ottobre raccontata da Kokob

Kokob Yibrah aveva 12 anni quando lasciò l’Eritrea assieme ai suoi amici e due anni dopo si trovò suo malgrado coinvolto nella tragedia di Lampedusa.

“Eravamo in 520 a bordo del barcone” racconta Kokob in una video intervista[42] dalla Svezia. Ad intervistarlo è Aida Kidane (cugina di Vittorio Longhi) un’attivista del regime-change eritreo che segue il racconto sorseggiando tranquillamente una bevanda calda, come si deduce dai rumori fuori campo.Kokob

“A bordo c’erano tantissimi che avevo conosciuto a Mai Ayni, molti erano miei amici” rivela Kokob guardando malinconico la telecamera fissa davanti a sé e prosegue: “eravamo diretti in Sicilia ma poi il ragazzo (lo scafista) ci dice che era prevista una tempesta per le 23 quindi ci comunica che ci porterà a Lampedusa. Tutti si lamentano dicendo che non volevano andare a Lampedusa. Verso le due o le quattro il motore smette di funzionare, forse aveva rotto la cinghia, e ci fermiamo. Il barcone inizia ad imbarcare acqua. Il ragazzo prova a mandare segnali di emergenza usando… com’è che si chiamano…frecce? Alcune imbarcazioni ci hanno puntato addosso le torce, ci hanno girato intorno e poi se ne sono andate. Noi non sapevamo chi fossero e non capivamo perché non ci aiutassero. Qualcuno ha detto che erano pescatori. Il ragazzo si era spazientito, allora gli venne l’idea di accendere qualcosa per segnalare la nostra posizione. Ha chiesto un lenzuolo e qualcuno glielo ha dato, lo ha imbevuto con la benzina e lo ha acceso con l’accendino ma si è bruciato una mano e lo ha gettato via, solo che il lenzuolo è caduto dove c’erano le taniche di benzina ancora piene. Il fuoco è divampato e le ragazze che erano lì vicine si sono gettate spaventate dalla parte dove io stavo sdraiato.

Io non mi ero ancora accorto che ci stavamo rovesciando, pensavo che il barcone continuasse ad ondeggiare come aveva fatto fino ad allora, ma ho visto che gli altri mi camminavano sulle cosce e cadevano giù. Poi ho visto l’acqua troppo vicina e affollata di persone. Allora ho capito e mi sono spaventato tanto. Di colpo tutti quelli ancora rimasti sul barcone ci siamo rovesciati in mare gridando. Quelli che erano sotto sono affondati, solo pochi sono riusciti ad uscire in superficie. A quel punto noi abbiamo iniziato a lottare per risalire sulla parte del barcone ancora fuori dall’acqua che era come una scalinata. Ci spingevamo l’un l’altro, scivolavamo, ci schiacciavamo, ci aggrappavamo e ci scalciavamo per risalire su. Ad un certo punto mi sono ritrovato su senza più vestiti addosso, poi qualcuno mi ha tirato per le mutandine e mi son dovuto levare anche quelle. Qualcuno mi ha colpito scaraventandomi in acqua, volevo tornare indietro ma ho pensato che mi si sarebbero potuti aggrappare addosso e così ho deciso di proseguire a nuoto da solo. Poi ho pensato che se avessi continuato sarei morto di sicuro mentre i soccorritori avrebbero potuto salvare tutti gli altri e sono tornato indietro con fatica. Allora ho visto il barcone sparire dentro l’acqua. In un attimo non c’era più. Sono stato costretto a proseguire e ho nuotato tanto fino a quando non ho trovato una tanica di plastica a cui mi sono appoggiato. Quella tanica è stata la mia salvezza.”

tragedia

 

Daniel Wedi Korbaria, autore e sceneggiatore eritreo, vive a Roma dal 1995, ha pubblicato diversi articoli scritti in italiano e tradotti in inglese, francese, tedesco e norvegese.

 

Note:

[1]https://reliefweb.int/report/eritrea/eritrea-ethiopia-boundary-commission-decision-regarding-delimitation-border

[2] UNITED NATIONS REQUESTS USG ASSISTANCE TO MONITOR AND RESOLVE ERITREA-ETHIOPIA CRISIS https://wikileaks.org/plusd/cables/05ADDISABABA3725_a.htmlAmb. Legwaila Joseph Legwaila, Special Representative of the UN Secretary-General (SRSG) for the UN  Mission in Ethiopia and Eritrea (UNMEE: Missione dei caschi blu a protezione di una zona di sicurezza al confine)

[3]UNITED NATIONS MISSION IN ETHIOPIA AND ERITREA https://unmee.unmissions.org/

[4]https://wikileaks.org/plusd/cables/06ADDISABABA1188_a.html

[5] President Isaias Sent Message to UN Security Council JUNE 6, 2017 https://www.tesfanews.net/president-isaias-sent-message-to-un-security-council/

[6] Update on TPLF attack against Eritrea http://www.shabait.com/news/local-news/21996-press-release-

[7] UNITED NATIONS REQUESTS USG ASSISTANCE TO MONITOR AND RESOLVE ERITREA-ETHIOPIA CRISIShttps://wikileaks.org/plusd/cables/05ADDISABABA3725_a.html

[8] US blames Eritrea over Somalian insurgency https://www.theguardian.com/world/2007/apr/09/ethiopia

[9] How Eritrea fell out with the west http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/6987916.stm

[10] ERITREA: BORDER DISPUTE AND NEW SANCTIONS REGIME https://wikileaks.org/plusd/cables/09USUNNEWYORK857_a.html

[11] UN decision to continue Eritrea sanctions is gross miscarriage of justice. Herman Chen https://twitter.com/cohenonafrica/status/658691853567528960

[12] Sanctions on Eritrea October 31, 2015 http://www.cohenonafrica.com/homepage/2015/10/31/sanctions-on-eritrea

[13]https://www.hrw.org/sites/default/files/reports/eritrea0911WebForUpload.pdf

[14] 2011 – LA PRIMAVERA ARABA DI AMNESTY INTERNATIONAL & HUMAN RIGHT WATCH https://it-it.facebook.com/daniel.wedikorbaria/posts/1211129852235859

[15] Report of the commission of inquiry on human rights in Eritrea pubblicato il 4 giugno 2015 http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/CoIEritrea/A-HRC-29-42_en.pdf

[16] UNHCR: Part of the Problem of Illegal Migration http://hornofafrica.de/data/pdfs/UNHCR-2014-nov.pdf

[17] 6,200 Eritreans Cross into Ethiopia in just over a month https://reliefweb.int/report/ethiopia/6200-eritreans-cross-ethiopia-just-over-month

[18] UNHCR ELIGIBILITY GUIDELINES FOR ASSESSING THE INTERNATIONAL PROTECTION NEEDS OF ASYLUM-SEEKERS FROM ERITREA http://www.refworld.org/pdfid/49de06122.pdf

[19]Meles Zenawi: A Life Spent Fighting Poverty http://awate.com/meles-zenawi-a-life-spent-fighting-poverty/

[20]https://www.unmultimedia.org/tv/unifeed/asset/1338/1338107/

[21] Letter to the UNHCR Spokesperson, Mr Adrian Edwards http://www.madote.com/2015/04/letter-to-unhcr-spokesperson-mr-adrian.html

[22] Eritrea: sopravvissuti al naufragio nel Canale di Sicilia i tre eritrei imbarcati https://www.eritrealive.com/eritrea-tre-gli-eritrei-sopravvissuti-al-naufragio-nel-canale-di-sicilia/

[23] ARRA (Administration for Refugee & Returnee Affairs)  https://arra.et/

[24]Information on UNHCR Resettlement http://www.unhcr.org/information-on-unhcr-resettlement.html

[25] Mare Chiuso http://www.zalab.org/projects/mare-chiuso/

[26] Carta di Roma su Lampedusa: garantite tutela identità rifugiati eritrei https://www.cartadiroma.org/osservatorio/carta-di-roma-su-lampedusa-garantite-tutela-identita-rifugiati-eritrei/

[28] UNHCR 2010 PLANS FOR NEW REFUGEE CAMPS AND SUDANESE REPATRIATION https://wikileaks.org/plusd/cables/10ADDISABABA199_a.html

[29]CON L’AGGRAVARSI DELLA CRISI IN SUD SUDAN L’ETIOPIA DIVENTA IL PRINCIPALE PAESE AFRICANO DI ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI https://www.unhcr.it/news/con-laggravarsi-della-crisi-in-sud-sudan-letiopia-diventa-il-principale-paese-africano-di-accoglienza-dei-rifugiati.html

[30]https://arra.et/about-us/

[31]Eritrea: Root Causes of the Refugee Crisis – House gov. Washington D.C. 19 aprile 2018 https://humanrightscommission.house.gov/events/hearings/eritrea-root-causes-refugee-crisis

[32] Ethiopia: Proclamation No. 409/2004 of 2004, Refugee Proclamation 19 July 2004http://www.refworld.org/docid/44e04ed14.html

[33] Christopher K. Mubanga PROTECTING ERITREAN REFUGEES’ ACCESS TO BASIC HUMAN RIGHTS IN ETHIOPIA: AN ANALYSIS OF ETHIOPIAN REFUGEE LAW http://uir.unisa.ac.za/bitstream/handle/10500/23205/dissertation_mubanga_cp.pdf?sequence=1&isAllowed=y

[34]Convention relating to the Status of Refugees Article 26 – Freedom of movement http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/StatusOfRefugees.aspx

[35]Assenna: Eritrean Refugees in Ethiopia Comment on Human Trafficking and Sinai Tragedy https://www.youtube.com/watch?v=_5WAx3cj8QM

[36] ETHIOPIA: REFUGEES SHOT OUTSIDE KEBRIBEYAH AND MY AYNI CAMPS https://wikileaks.org/plusd/cables/10ADDISABABA250_a.html 2010 February 8,

[37] La strage di Lampedusa scatena la protesta nei campi profughi in Etiopia 14 ottobre 2013 di Emilio Drudi http://www.buongiornolatina.it/10584/

[38]eritrean refugee at Mai Ayni standes 4 its right (Ethiopia) https://www.youtube.com/watch?v=J2yhldbm1YA

[39]L’imbroglio dei finti profughi eritrei di Fausto Biloslavo, 14 dicembre 2017 – Panorama

[40]Women’s Refugee Commission: Young and Astray https://www.womensrefugeecommission.org/images/zdocs/Young_and_Astray_web.pdf

[41]Unaccompanied Eritrean Refugee Children in Ethiopia pubblicato il 13 febbraio 2014 https://www.youtube.com/watch?v=_aTcPm1Mezw

[42]Kokob, 14 year old boy dangerous journey Eritrea through Sahara 2013 P1 https://www.youtube.com/watch?v=A_hXyLgKW7A Kokob, 14 year old boy dangerous journey Eritrea through Sahara 2013 P 2 https://www.youtube.com/watch?v=qygbwcbP1Q8 

() Remarks by the President to the Clinton Global Initiative

https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/2012/09/25/remarks-president-clinton-global-initiative

Precedenti articoli:

And the winner is… Alga! https://www.lucadonadel.it/alganesh-fessaha/

Soros e la sua Color Revolution in Italia http://www.mediacomunitaeritrea.it/soros-e-la-sua-color-revolution-in-italia/

2011 – LA PRIMAVERA ARABA DI AMNESTY INTERNATIONAL & HUMAN RIGHT WATCH https://itit.facebook.com/daniel.wedikorbaria/posts/1211129852235859

La “Santa Inquisizione” di Sheila K. http://hornofafrica.de/la-santa-inquisizione-di-sheila-k/

George Soros e la sua Tangentopoli Mediatica in Italia (mi scuso con i giornalisti che non sono nella lista) https://comedonchisciotte.org/george-soros-e-la-sua-tangentopoli-mediatica-in-italia-mi-scuso-con-i-giornalisti-che-non-sono-nella-lista/

 

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